Dylan Dog

di Tiziano Sclavi

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  1. *Wagner *
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    CITAZIONE (Fun Boy @ 25/1/2010, 14:07)
    CITAZIONE (*Wagner * @ 25/1/2010, 13:46)
    CITAZIONE (Fun Boy @ 25/1/2010, 01:20)
    CITAZIONE (*Wagner * @ 24/1/2010, 20:23)
    Ma nessuno la l'ha tirata fuori. Quindi non capisco il perchè di questo tuo distinguo. :huh:

    Il distinguo l'hai fatto tu con questa frase:
    CITAZIONE (*Wagner * @ 24/1/2010, 13:52)
    Ma i più belli appartengono ai primissimi cento numeri.

    Anzi, per me il distinguo non c'è affatto. Ed è proprio su questo che sto dibattendo.

    Si, e lo ribadisco: per me gli episodi più belli sono tra i primi 100. Con questo non voglio dire che TUTTI i primi 100 numeri sono capolavori ma indubbiamente tra quei primi 100 ci sono episodi di una freschezza e di un coraggio editoriale che non si trova nei successivi. Anche perchè, almeno fino a "caccia alle streghe", Sclavi ha goduto di una libertà impressionante all'interno di una casa editrice fondamentalmente tradizionalista come la Bonelli. Libertà che è andata via via scemando, ed un paragone lo si può fare soprattutto guardando le sceneggiature. Mentre Sclavi si divertiva a rompere la classica gabbia bonelliana ora questa è diventata un diktat anche per chi scrive Dylan Dog.

    Il coraggio editoriale e la rottura degli schemi lasciano il tempo che trovano, dal momento che non sempre si sono dimostrati fondamentali alla bellezza di una storia. In "Nebbia" (ti cito di proposito un numero post cento) ci sono splash pages e costruzioni di tavole che sono all'americana, più che bonelliana. Una rottura bella grossa, rispetto alla solita giglia 2x3...
    Può questa semplice bravata di Brindisi farmi giudicare bene la storia? Nient'affatto.
    Senza contare che i traguardi cui tu fai riferimento erano stati ben surclassati dal gruppo Valvoline un bel po' di tempo prima.

    Il fatto che adesso le trame "sclaviane" siano diventate un cliché è verissimo. Tant'è che ormai le storie belle del Dog danno pochissimo spazio al personaggio in sé, rendendolo quasi intercambiabile con qualsiasi protagonista x. Una caratteristica che ho notato subito in Mater Morbi.
    (Ma anche in Necropolis e in molte altre storie della Barbato).
    Segno che c'è una nuova gabbia (ovvero le trame sclaviane, vecchie di 20 e passa anni, con un protagonista ormai obsoleto) e nuovi modi per forzarla.

    Non so se mater Morbi avrebbe potuto essere una storia adatta anche a John Doe (Recchioni dice di no). Di una cosa sono sicuro: per scrivere Dylan al meglio bisogna renderlo lo specchio delle proprie paure. Dylan era l'alter ego di Sclavi, benchè parecchio distante da Tiziano. La Barbato è l'unica che lo ha capito e ne ha sfruttato le potenzialità (non in tutti gli episodi, però). Recchioni lo ha fatto con questa storia. Tutti gli altri si divertono solo a trovare variazioni in linee guida che Sclavi ha dettato ai tempi che furono, spesso non trovandole.
     
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  2. *Wagner *
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    La Roccella legge l'albo e ci ripensa

    Polemica Dylan Dog, Roccella:
    «Ho letto l'albo. Paure infondate»

    «Il racconto era stato descritto come presa di posizione
    sull'eutanasia. Invece parla della fragilità del corpo»


    Non ho mai creduto alle letture ideologiche, ai tentativi di decifrazione di un testo in chiave tutta politica: non è attraverso il filtro delle battaglie più o meno civili che la letteratura si fa riconoscere come tale, e può toccarci in profondità. Leggendo l’ultimo numero di Dylan Dog, "Mater morbi", la mia diffidenza verso le interpretazioni politiche si è accentuata. Il racconto è stato esaltato da alcuni quotidiani come presa di posizione su eutanasia e testamento biologico, e certo c'è anche questo. Ma è un discorso assai poco politico, confinato in uno spazio laterale («Nel frattempo, un certo dottor Harker ha alzato un gran polverone con i media, e oggi per tutto il paese si discute di accanimento terapeutico, testamento biologico e suicidio assistito…»). Quando sono stata interpellata da una giornalista sul fumetto, non lo avevo ancora letto; in effetti mi si chiedeva di intervenire nel dibattito sollevato dagli articoli comparsi sulla stampa, e mi aveva colpito in particolare una frase citata: «C'è stato un tempo in cui ero un uomo…». Come a dire: solo la salute garantisce la nostra qualità umana, e forse la nostra dignità di persona. Ma a una lettura diretta del testo, la mia paura si è rivelata del tutto infondata.

    L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog L'eutanasia di Dylan Dog

    Il cuore del racconto è nel corpo a corpo con la malattia, nel dilemma, non etico ma vissuto nella carne, tra accettazione e rifiuto, fino a riconoscere l'assurdità di una ribellione alla condizione umana. Perché la malattia, il dolore, la precarietà della vita e la fragilità del corpo fanno parte della condizione umana, e combatterle vuol dire, alla fine, sfinirsi in un conflitto contro se stessi. Non si tratta di fatalismo rassegnato, ma della consapevolezza che l'esistenza degli uomini è fondata sul limite. La bellissima Mater morbi è «sola contro il mondo intero»: nessuno può amarla, e persino la morte è invocata per fuggirla. Ma Dylan, alla fine, l'accetta, e la malattia si placa, gli offre una tregua, se non una guarigione duratura.

    Nella storia c’è un bambino, segnato da una patologia unica, che guida il grande Dylan in questo percorso di saggezza. Una figura tenera e anomala rispetto al modo consueto di tratteggiare l’innocenza ingiustamente colpita dal male. Il piccolo Vincent, che morirà, «ha avuto la forza di accettare la malattia e vivere con essa, senza sprecare la sua esistenza in una guerra contro il suo stesso corpo… Mater morbi è un’amante spietata ed esigente, che ci accompagnerà per tutta la vita». Se c’è, nel testo di Recchioni (il soggettista), una critica dura e aspra, non riguarda tanto il testamento biologico, ma il traumatico ingresso nel mondo a parte dei malati e dell’organizzazione ospedaliera. La notte in corsia è un incubo spersonalizzante in cui Dylan non è sicuro nemmeno della sua identità. In ospedale, fuori dal suo ambiente, lontano da chi gli vuole bene, rischia di diventare un corpo oggettivato, separato perfino da se stesso. Più la malattia si aggrava più l'anonimato e l’isolamento incrinano il suo status di persona, finché «medici e infermieri non ti guardano più in faccia ma si limitano a controllare i tuoi parametri vitali su un monitor». Questo sì che si può combattere, ma per farlo la relazione umana tra medico e paziente va intensificata, e non trasformata in un rapporto tra offerta terapeutica e consumatore, non appiattita sulla deresponsabilizzazione degli operatori sanitari, che si limiterebbero ad applicare burocraticamente ciò che è scritto nel modulo del testamento biologico. Parliamone oltre le posizioni politiche, partendo dall’esperienza umana, consapevoli dei suoi limiti e dell’impossibilità di penetrare ogni mistero. Come scrive Recchioni-Dylan Dog, «In fondo… chi sono io per mettere in dubbio i miracoli?»

    Eugenia Roccella
    Sottosegretario di Stato al Lavoro, alla Salute e alle Politiche sociali
    25 gennaio 2010


    Lieto che ci abbia ripensato. Certo leggere l'albo prima di entrare in polemica male non avrebbe fatto. -_-
     
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  3. Amnesiac85
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    e intanto se volete sentire l'opinione dalla viva voce di Recchioni... http://prontoallaresa.blogspot.com/2010/01/io-io-io.html
     
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  4. Il Gibbo
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    Recchioni a Rai News 24.
    Io manco la commento 'sta trasmissione... Il presentatore non ha minimamente APERTO l'albo e poi... FINARDI????

     
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  5. Amnesiac85
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    Finardi è stato un signore visto che appena poteva cercava di passare la palla al discorso sul fumetto. L'intervistatore era invece scandaloso.
     
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  6. Il Gibbo
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    Sì, l'intervistatore scabroso... nota che nemmeno ascoltava le risposte... se ci fai caso dopo la prima domanda è li che ravana sulla scrivana fregandosene di quel che dice il Rrobe...
     
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  7. Jaaymz
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    Tra l'altro il presentatore (se così vogliamo chiamarlo) oltre a non ascoltare le risposte a momenti tronca Recchioni che fa appena in tempo a finire la frase.
    Incompetente e basta.
     
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  8. *Wagner *
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    Questo il racconto di quella serata da parte del Rrobe. Lo trovate sul suo blog.

    L'edificio che ospita la redazione e gli studi di Rai News 24 è una palazzina di Saxa Rubra dai muri scrostati con il cemento a vista, uffici desolati, vecchi computer, divanetti ricoperti di polvere e moquette lisa. Fuori piove e fa freddo anche dentro la palazzina.
    Quando arrivo mi perdo immediatamente e dopo due minuti la mia mente si convince di essere in un dedalo burocratico del politburo sovietico dei primi anni settanta. O in un sequel di Hostel. Quello più spaventoso. E invece sono davvero alla Rai, tanto è vero che dopo dieci minuti qualcuno mi recupera e mi porta in sala regia per procurargli delle immagini da mandare in onda.

    "Non vi è arrivata la mia mail?"
    "No. Ma abbiamo casini con i computer".
    Guardo i computer e non me ne stupisco.
    Gli scarico qualche immagine da internet, poi gli propongo di mandare in onda uno dei teaser che Massimo ha realizzato.
    "Eh, sarebbe bello... ma su queste macchine non abbiamo flash istallato e i filmati di Vimeo non li possiamo vedere".
    Ok, va bene. Pazienza.
    Mi lascio accompagnare in una saletta d'attesa larga un paio di metri per un metro e mezzo.
    Un divanetto bianco e macchiato, un vecchio televisore a tubo catodico e nient'altro.
    "Il giaccone se vuoi toglilo ma poi portalo in studio che lasciarlo qui non è sicuro..."
    "Non c'è un guardarobaa?"
    "No. Lascialo su una scrivania. Non sulle sedie che quelle servono ai cameraman".
    "Capito".
    "Ti serve il trucco?"
    "Direi di no".

    Cinque minuti dopo vengo microfonato e accompagnato in studio.
    Qualche pannello metallico, delle scrivanie in plexliglass, alcuni schermi e la solita moquette lisa e polverosa. Nonostante le lampade, fa un freddo cane.
    La magia della televisione deve essere davvero potente per trasformare quel set in qualcosa di accettabile.
    Nove e venticinque. In studio ci siamo io, due cameraman annoiati con un orecchio alla partita (li invidio) e nessun altro. Da quando sono entrato ho visto un totale di sei persone. Pensavo che per fare televisione ci volesse più gente.
    Qualcuno si preoccupa: il giornalista-presentatore è in ritardo. Una segretaria di produzione (la persona numero cinque) lo va a cercare e lui arriva dopo qualche istante. Si era distratto a parlare con un amico. Ha i capelli laccati e la sua pelle ha una sfumatura arancione.
    Ringrazio mentalmente me stesso di non aver voluto il trucco.
    Mi siedo sulla poltroncina solitaria davanti alla sua scrivania e siamo in onda.
    Inizia l'intervista e va come previsto.
    Nessun reale attenzione nel trattare l'argomento, domande banali, basate sulle due robe lette su internet e, soprattutto, nessun interesse ad ascoltare le risposte (che qualche spunto lo davano). La cosa più interessante di tutto il programma è la mia maglietta di Ralph Super Maxi Eroe. Sto serissimo per tutta la durata della pantomima.
    Mezz'ora dopo è tutto finito e io schizzo via ,verso la macchina che mi riporterà a casa, lontano da quel posto brutto, grigio e rassegnato.

    Nel frattempo, De Rossi ha segnato contro il Catania e mia madre mi ha mandato un SMS con scritto "bello de mamma".
    Sorrido.
    Finalmente.
     
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  9. Il Gibbo
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    CITAZIONE (Jaaymz @ 28/1/2010, 13:51)
    Tra l'altro il presentatore (se così vogliamo chiamarlo) oltre a non ascoltare le risposte a momenti tronca Recchioni che fa appena in tempo a finire la frase.
    Incompetente e basta.

    Vero, tipo l'ultima domanda gliela tronca in un modo brutale... Perchè lui è li a parlare di fumetti e io sono qui a non fare una minchia???
     
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  10. claremont82
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    mi posso vergognare io per lui? che schifo...
     
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  11. Il Gibbo
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    Comunque il Rrobe (prendo lui come esempio perchè il più recente) su una cosa ha ragione: il fumetto viene tirato in ballo (ma come mille altre cose, tanto per dire anche i videogames subiscono la stessa sorte) giusto quando ci sono scandali o presunti tali nell'aria.

    Nella giornata della memoria avete anche solo sentito lontanamente pronunciare la parola MAUS? No, perchè mille e mille libri vengono citati, ne vengono letti estratti, frasi, parole, analisi... ma di fumetti? Stiamo parlando di un premio Pulitzer, eh...
     
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  12. claremont82
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    a Roma però hanno invitato gli autori del fumetto "in Italia siamo tutti maschi" ad una serata dedicata all'Olocausto, per la Giornata della memoria :)
     
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  13. Il Gibbo
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    CITAZIONE (claremont82 @ 28/1/2010, 17:28)
    a Roma però hanno invitato gli autori del fumetto "in Italia siamo tutti maschi" ad una serata dedicata all'Olocausto, per la Giornata della memoria :)

    Che figata! A Torino, come al solito, nulla...
     
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  14. DBRM
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    Un grazie ha chi ha postato il servizio!
    Bah... Solito pressapochismo da parte dei media nel trattare il fumetto come interesse culturale.
     
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  15. Il Gibbo
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    CITAZIONE (DBRM @ 31/1/2010, 06:15)
    Un grazie ha chi ha postato il servizio!

    E di cosa! image
     
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626 replies since 12/7/2007, 10:57   3622 views
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